Incontro talmente tanti olivi secchi che le campagne a volte assumono un’atmosfera spettrale.
Questi pachidermi di cellulosa sembrano stati pietrificati da un vento tossico o da un’eruzione di ceneri ardenti. Come se qualcosa di catastrofico li avesse colti di sorpresa. E invece no. È un organismo invisibile all’occhio umano. È un batterio: la Xylella.
Pochi micrometri di dimensione, eppure ha prodotto danni su una scala di centinaia di chilometri. Sembra che siano le cose più piccole a creare i danni più gravi.
Sto attraversando il Salento a piedi. Passo dopo passo, assorbo i cambiamenti che ha vissuto questa terra.
In varie parti del mondo le sottospecie di Xylella hanno decimato frutteti e vigneti.
Il batterio produce nell’olivo una malattia che lo porta a seccare completamente, come se bloccasse il flusso delle sue arterie vitali. Non esiste ancora una cura.
Tra i tentativi più recenti c’è quello di addestrare i cani a fiutare gli alberi infetti, per sradicarli in tempo, prima che passino la malattia a quelli accanto.
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