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Geologia e industria: il caso di Gela




Quello che sembra il collo di una grande giraffa meccanica è uno dei tanti pozzi petroliferi di Gela.


Vederli in attività non è cosa comune nel nostro paese e richiama paesaggi di luoghi lontani come il Texas.


Nella città in provincia di Caltanissetta ci sono pozzi attivi sia a terra che in mare che estraggono soprattutto il gas, ma la grande raffineria petrolchimica che fa da sfondo alla città antica è in piena trasformazione: da qualche anno non raffina più petrolio, ma biodiesel.


Gela è una delle città più antiche del mondo. Quante come lei possono vantare una storia di ben 2700 anni?


Qui le risorse del suolo e del sottosuolo hanno da sempre attratto l’attenzione dei popoli. Prima per l’immensa pianura di terra fertile, da cui cresceva il grano esportato in tutto il Mediterraneo.


Poi, in età moderna, per i combustibili fossili.


L’ENI costruì la raffineria negli anni ’60 dopo che nella zona fu scoperto il petrolio. Non era solo un impianto industriale, ma una delle raffinerie più grandi d’Europa e, allo stesso tempo, una strategia socio-economica per far ripartire il meridione.


Tuttavia, secondo alcuni, questo progetto di sviluppo tecnologico si era dimenticato dello sviluppo dell’uomo.


“C’era una popolazione quasi interamente composta da pescatori e contadini che è stata messa a lavorare nell’industria”, ci racconta Pierluigi, camminatore del luogo che ci ha accompagnato fino alle porte della città.





Gli chiediamo di dirci di più.


Lui ci parla di un libro del 1970: “Industrializzazione senza sviluppo. Gela: una storia meridionale”. Scopriamo che si tratta di un’opera dalla storia quantomeno curiosa.


Gli autori sono Eyvind Hytten e Marco Marchioni, due sociologi che vennero convocati proprio dall’ENI per svolgere uno studio sullo sviluppo di Gela. Una volta uscito, il libro venne ritirato dalle stampe. Tutt’ora è difficile da trovare. Come il titolo lascia intuire, pare che la loro ricerca non abbia portato ai risultati sperati dai dirigenti.





A Gela abbiamo conosciuto persone meravigliose che ci hanno accolto, aiutato e accompagnato a visitare il centro storico. Sono Alice, Pierluigi, Giovanni, Giuseppe e altri del comitato d’accoglienza della Via Francigena Fabaria.


Durante la nostra permanenza ci è capitato di parlare con varie persone che si sono guadagnate da vivere con il lavoro in raffineria. C’è chi la odia e chi la ama.


Certo è che ha dato lavoro a buona parte della città e zone limitrofe. Ha creato benessere. Allo stesso tempo però non è riuscita a creare equilibrio pubblico; ha fatto crescere la popolazione, ma non servizi e infrastrutture.





A molte persone è rimasta la sensazione che la raffineria abbia calpestato il territorio dando indietro molto poco.


“Gela correva con il telaio di una Ferrari e il motore a scoppio di una vecchia Balilla”, scriveva Salvatore Parlagreco sul Corriere di Gela nel 2020, in occasione della morte di uno dei due autori del libro.


In questi ultimi anni la raffineria sta affrontando la transizione energetica. Molti dei suoi dipendenti sono stati dimessi, molte delle sue strutture smantellate.


In quanto a possibilità d’impiego, alternative valide a questa industria non ce ne sono ancora. Aspettiamo di vedere che cosa il futuro tiene in serbo per Gela e quale sarà la nuova risorsa che la renderà ricca e speciale.


Uno degli aspetti più affascinanti del nostro cammino è poter conoscere luoghi come questo, complessi e allo stesso tempo ricchi di storia e bellezza. Posti così sono complessi perché l’interazione tra risorse ed essere umano è stata sempre erratica e imprevedibile. Probabilmente sempre lo sarà. I miglioramenti vengono costruiti sulla base degli errori commessi.


Forse per sviluppare un luogo non è sufficiente sfruttare risorse, convogliare soldi e lavoro. Ci vuole anche un programma coerente per portare avanti in simultanea ricchezza e cultura, servizi e senso civico.


Tu che ne pensi, hai un’opinione al riguardo? Facci sapere nei commenti.

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