E se la tradizione millenaria della ceramica di Caltagirone, in provincia di Catania, fosse in gran parte dovuta al terreno su cui poggia la città?
Camminando per il suo centro si incontrano ripetuti accenni all’arte che l’ha resa famosa. Vasi e maioliche adornano le strade. La street-art evoca le leggendarie teste di moro.
In cima alla collina su cui sorge la parte antica è possibile affacciarsi verso nord e vedere versanti erbosi e calanchivi. Terreni argillosi sono stati scavati dall’acqua, che nel tempo ha creato i calanchi, cioè le forme erosive tipiche dell’argilla. Sono geometrie che ricordano, dall’alto, le venature di una foglia.
“L’arte della ceramica nasce proprio da qui, da questa montagna”, racconta Giampiero Buscemi, un ceramista locale, mentre guardiamo i calanchi dal Belvedere San Giorgio. “È proprio lei ad aver contribuito all’evoluzione della città”.
“Serviva argilla ricca di caolinite e legname in abbondanza per cuocerla. Qui si vedono entrambi gli elementi.”
Oggi l’argilla viene importata dalla Toscana per soddisfare i bisogni dell’artigianato locale. Agli albori, tuttavia, veniva presa proprio da questi affioramenti, cotta nei forni e utilizzata per fare strumenti semplici come vasi per il miele.
“Caltagirone realizzava una ceramica più povera. Prima degli anni ’50-‘60 non erano chiamati ceramisti, ma cannatari. Da ‘cannata’, che in dialetto vuol dire brocca per il vino. Ed era un lavoro ‘camurriusu’ (= tedioso, seccante)”.
A inizio ‘900 la tradizione della ceramica rischiava di estinguersi. I cannatari erano rimasti in pochi. Ecco allora che l’artigianato divenne arte.
Scuole e istituzioni vennero fondate da persone come Don Luigi Sturzo, prete e politico originario di questa città. Alla fine le fornaci non furono mai spente. Caltagirone, oggi, produce una delle ceramiche più prestigiose d’Italia.
Nel corso del nostro viaggio abbiamo visto che tutto quel che rimane di una civiltà, spesso, sono frammenti di ceramica. Basta entrare in un museo archeologico per rendersene conto. Grazie a quei piccoli pezzi di terracotta è possibile ricostruire cultura e commercio delle società del passato.
E del futuro?
Se oggi dovessimo scomparire a causa di una guerra nucleare e una civiltà futura scoprisse i nostri manufatti, che cosa troverebbe? Tutto ciò che è digitale probabilmente sparirebbe; solo gli oggetti concreti al tatto rimarrebbero, come vasi di terracotta.
Cosa dedurranno dalle ceramiche di Caltagirone?
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